Ospedale Psichiatrico Provinciale di Lucca (1881 - 1980)
706 unità archivistiche di primo livello collegateFondo
Consistenza archivistica: n. 706 unità archivistiche
Storia archivistica:
Lo Spedale de’ Pazzi di Fregionaja fu istituito dalla Repubblica di Lucca nella seconda metà del Settecento. Lo stato di Lucca che al tempo era indipendente da Firenze aveva provveduto al mantenimento dei propri malati in modo autonomo. Nel 1769 il Senato di Lucca propose alla Santa Sede la soppressione del Monastero della Fregionaja di proprietà dei Canonici lateranensi, ridotti ormai a scarsissimo numero, al fine di «ricevere e mantenere i pazzi della Città e dello Stato»1, e fu suggellato dal Pontefice Clemente XIV con la bolla Bonus Ille Pastor Aeternus nel 1770.
Lo Spedale di Fregionaja entrò in funzione il 20 aprile 1773 e il giorno successivo furono trasferiti dal Carcere della Torre undici alienati accompagnati dagli esecutori di città, seguiti da altri otto alienati provenienti da altri luoghi: secondo alcuni questo rappresentò il passaggio nello Stato lucchese dalla restrizione in carcere all’assistenza sociale ospedaliera. Il numero dei ricoverati era in continuo aumento: nell’anno 1782 i reclusi erano n. 57, divisi tra coloro che erano a carico della struttura e coloro la cui famiglia pagava una retta.
Nel 1808, Fregionaja e l’Ospedale di S. Luca furono inseriti tra i Reali Spedali ed Ospizi di Lucca, fondato da Elisa Bonaparte Baciocchi, duchessa di Lucca; nello stesso anno, lo Spedale dei Pazzi passò sotto l’amministrazione dall’Opera Pia Ospedali ed Ospizi, fino al 1866, quando la gestione ed il mantenimento fu trasferito alla Provincia di Lucca, appena istituita. L’Opera Pia continuò, comunque, la gestione dello Spedale fino al 1913. Nel corso del primo decennio del ‘900, la proprietà di Fregionaja passò, a titolo gratuito, dall’Opera Pia alla Provincia, senza apparentemente l’osservanza delle leggi, come affermò il segretario provinciale Cappellini: «vi fu un trapasso di immobili senza l’osservanza delle forme di legge, ma ormai cosa fatta capo ha»2.
Nel corso del tempo, si avvicendarono diverse modalità di gestione dello Spedale, dipendenti anche dalle disposizioni granducali in Toscana; infatti, nel 1851 fu emesso un Regolamento che disponeva di affidare all’autorità giudiziaria il potere di emettere provvedimenti di reclusione, liberazione dei guariti e affidamenti in custodia alla famiglia per i pazienti migliorati. Gli ordinamenti del 1858 e del 1860 disponevano che lo status di direttore del manicomio (con responsabilità sanitaria) fosse affidato al chirurgo infermiere, ovvero al medico residente in struttura. Questa figura assunse il nome di medico direttore con il direttore Taddei de Gravina. Con questi iniziò, e mai si concluse, una raccolta sistematica dei documenti individuali dei ricoverati, ma presto un forte clima di tensione si manifestò con il malcontento dei servanti3 e delle condizioni disagiate in cui versavano proprio i ricoverati.
Con il nuovo medico direttore Giuseppe Neri si espresse la volontà di ristrutturare e di ampliare l’organico di Fregionaja. Queste richieste furono, però, esaudite solo con il successore di Neri, Gaetano Cappelli, a partire dal 1870: i lavori di ampliamento furono finanziati in parte dalla Provincia di Lucca. Grazie a Neri furono istituite nuove figure e nuove modalità di gestione: furono identificati i caporali e furono istituiti registri per il vitto, furono anche predisposti reparti di isolamento, abbonamenti a giornali e riviste e un miglioramento della sala delle ricreazioni. Durante la direzione di Neri, molti dei ricoverati provenivano da altre province e, Neri stesso, condusse una serie di studi circa l’indice statistico della presenza dei ricoverati nel manicomio e della loro situazione economico-sociale.
Con la legge del 1865, il mantenimento dei manicomi passò dai comuni alle province: l’ente provinciale lucchese sottoscrisse una convenzione con l’Opera Pia Spedali e Ospizi, che rimase in essere fino al 1913. L’anno successivo, nel 1866, la direzione passò al già citato Gaetano Cappelli; con esso, molte delle richieste di Neri furono esaudite, tra cui: creazione di una biblioteca medica, organizzazione di un laboratorio per indagini diagnostiche, realizzazione della scuola elementare interna per i degenti e i figli dei serventi. Inoltre, Cappelli avviò anche la trascrizione del movimento degli alienati e una raccolta dati per la statistica ospedaliera e nosografica.
Nel corso del tempo la richiesta di ricovero dei mentecatti divenne sempre più importante, fintanto che la Provincia di Lucca nominò, nel 1877, una commissione che indicava di «collocare a custodia domestica i mentecatti innocui e rendere meno semplice l’accesso al ricovero»4: ebbe inizio, dunque, la fase della custodia omofamiliare, che prevedeva un contributo economico elargito dal Comune alle famiglie. Nel corso degli anni il numero dei ricoverati risultava in continuo aumento, tanto da dover rendere necessario nel 1893 l’istituzione di una seconda Commissione per valutare un ulteriore tentativo di sfollamento dell’istituto; furono proposte diverse soluzioni ma nessuna di queste fu adottata.
Alla fine del XIX secolo, assunse la direzione del manicomio Andrea Cristiani, affiancato dall’assistente Andrea Vedrani. Nel corso della direzione e della presenza di Cristiani e Vedrani, unitamente al collega Giuseppe Paoli, fu applicato il no-restraint nel manicomio lucchese, ovvero la proibizione a contenere i malati agitati con cinghie, catene, funi, manette etc., con non poche difficoltà di applicazione, tanto che «i medici sono costretti a sorvegliare i padiglioni anche durante la notte, per accertarsi che la disposizione venga rispettata dal personale in servizio»5; secondo Paoli il mezzi di contenzione rendevano il manicomio non più un luogo di cura ma un luogo di pena.
Il direttore del manicomio, nel 1909, in una relazione alla Commissione di vigilanza sui manicomi per la Provincia, espose una serie di problemi relativi alla struttura di Fregionaja che però non trovarono soluzione: il manicomio sembrava non riuscire a trasformarsi ne a livello strutturale ne a livello di pratica medica.
All’interno del manicomio i ricoverati erano, generalmente, impiegati in lavori interni: questo giovava sia all’economia del manicomio che alla salute, calma, guarigione e libertà dei ricoverati. Questo, infatti, trovò riscontro nelle dimissioni che, in maggior numero, riguardavano i ricoverati lavoratori; all’interno del manicomio vi erano: officine per la lavorazione dello sparo, laboratori di tessitura, officine di calzolaio, falegname, fabbro, etc. Vi era anche un podere per la coltivazione e per l’allevamento.
Il nuovo Regolamento Provinciale, prevedeva che, tra le altre disposizioni, il ricovero di minori di ambo i sessi di età inferiore ai sei anni non fosse permesso: questo fu in risposta alla legge 36/1904 sugli alienati e i manicomi. Dopo l’approvazione del regolamento, la Giunta provinciale emanò una circolare dove affermava che non tutti gli affetti da alienazione mentale dovevano essere internati in manicomio, inviando tale avviso alle autorità di pubblica sicurezza e alla presidenza dell’ordine dei medici provinciale: il ricoverato doveva essere valutato prima di autorizzarne l’effettivo internamento.
Nel periodo del passaggio di proprietà dall’Opera Pia alla Provincia di Lucca, la Giunta provinciale, la direzione medica e il consiglio sanitario del manicomio, elaborarono un complesso programma di interventi che considerava, tra gli altri: costruzione di un padiglione di isolamento per malattie infettive e uno per i malati cronici, l’impianto di una lavanderia a vapore con stanza di disinfezione e forno d’incenerimento, lavori di riparazione, etc. Ma a bloccare questo intenso programma di riqualificazione fu la Grande Guerra.
La Prima guerra mondiale pose il suo pugno di ferro anche nel contesto del manicomio di Fregionaja: alcuni dei medici furono richiamati alle armi, mentre altri furono messi a disposizione delle autorità militari; in molti partirono per il fronte e il lavoro si fece maggiormente gravoso. Fu istituito il reparto psichiatrico di osservazione per militari con il ricovero di molti dementi profughi da altri territori. Nel corso della guerra giunsero a Fregionaja molti fanciulli per i quali non sussistevano adeguati programmi e strutture per l’educazione e la cura: da qui furono trasferiti a Bologna, da cui nel 1917 tornarono per poi essere nuovamente condotti a Firenze. Il manicomio lucchese presentava non pochi difetti per l’accoglienza dei fanciulli, nonostante i tentativi di adeguamento.
Cristiani, nella relazione tecnico-sanitaria del 1921, nuovamente denunciava le gravi e decadenti condizioni nelle quali versava Fregionaja, considerando anche il numero eccessivo di ricoverati che diventata sempre più gravoso in termini di sicurezza, sanità e igiene.
Con l’avvento del Fascismo le leggi sulla malattia mentale diventarono ancora più restrittive: il malato di mente doveva essere iscritto al casellario giudiziario e venne identificato come reato l’omissione o la mancata autorizzazione all’internamento, così come la mancata denuncia delle malattie mentali.
In questo periodo la direzione di Cristiani fu seguita, nel 1936, da quella di Guglielmo Lippi Francesconi, il cui mandato fu interrotto dagli eventi bellici del secondo conflitto mondiale: a causa di alterchi con il Podestà di Lucca e altre importanti personalità, Lippi Francesconi fu arrestato dalla GESTAPO e, dunque, giustiziato. Nel corso dei suoi anni di direzione, Lippi Francesconi potè osservare l’abolizione completa dei mezzi di coercizione, come Cristiani aveva auspicato, insieme a diverse nuove opere, come la realizzazione di un istituto psichiatrico infantile. Tra i suoi studi, il nuovo direttore si concentrò anche sulla disamina delle origini del nome Fregionaja, cercando e studiando diversi documenti d’archivio: le attribuzioni possibili risultarono varie (dall’affiliazione con San Frediano, al richiamo di una specie di uccelli chiamata frosone) ma Lippi Francesconi abbracciò come più valida l’origine storicamente cristiana. Dopo l’arresto del direttore, la successione della direzione del manicomio andò ad Alessandro Pfanner nel 1944. Nel corso della sua permanenza fu registrato un peggioramento dell’atmosfera all’interno del manicomio, a causa, soprattutto, delle pessime condizioni in cui erano ricoverati i malati: aggressioni, contenimento, etc. Anche il personale stesso era obbligato ad una forzata disciplina; nel 1953 Pfanner promosse un corso per infermieri psichiatrici. All’interno dell’Ospedale, i degenti erano suddivisi in base alla condotta: agitati, semiagitati, semitranquilli, tranquilli ed erano selezionati e coinvolti in piccole mansioni in base al loro grado di gestibilità.
Nel corso del 1952 furono introdotti in Fregionaja gli psicofarmaci grazie ai quali fu possibile ridurre la sorveglianza e l’uso della forza per la contenzione; Mario Tobino testimoniò quanto questa introduzione portò diversi cambiamenti anche, e soprattutto, nella relazione con i ricoverati.
Pfanner si ritirò dalla direzione nel corso del 1954 a causa di una malattia: fino al 1956 la direzione andò a Mario Tobino, primario della divisione femminile e dal 1956 al 1958 passò a Giovan Battista Giordano, primario della divisione maschile. Quet’ultimo si concentrò sullo studio statistico degli alienati dell’Ospedale di Fregionaja dal 1913 al 1961. Tobino prese servizio già nel 1942 e rimase presso il manicomio di Maggiano per più di quarant’anni. Egli si dedicò con tutte le sue forze allo studio della malattia mentale e alla sofferenza dei ricoverati. Negli anni ‘70 si trovò a fronteggiare le conseguenze della legge 180/1978, legge Basaglia: fu definito un antibasagliano, ma egli non si considerò mai tale; Tobino aveva del malato mentale e della terapia un suo pensiero preciso e temeva che le novità introdotte potessero portare disequilibrio sul modo della malattia mentale; egli credeva che fosse importante l’approccio al malato concepito oltre il solo sapere clinico.
Alla fine degli anni Cinquanta il manicomio di Maggiano superò lo stato di degrado, portando un forte cambiamento di condizioni e miglioramento della qualità della vita dei degenti.
Nel 1958 il nuovo direttore Domenico Gherarducci riuscì a rendere il clima all’interno della struttura più umano, frequentando personalmente i reparti e trascorrendo il tempo con i ricoverati, cercando la collaborazione dei medici e promuovendo la formazione degli infermieri. Nel corso degli anni Sessanta si svilupparono sempre nuovi approcci ai pazienti e alla loro gestione. Ma ancora non si poteva parlare di un vero e proprio rinnovamento del manicomio.
Nel 1965 il primariato del reparto agitate andò allo psichiatra fiorentino Devoto, che, affiancato da Tobino, si inserì nel periodo della proposte innovative metodologiche e di trattamento del disturbo mentale. Tra i grandi cambiamenti che avvennero nel manicomio, si individuano: abolizione delle celle all’alga, un rapporto più diretto del responsabile con i pazienti e con il personale, valorizzazione del lavoro degli operatori. Furono consolidate le attività ricreative e formative per i ricoverati e fu fondato il Circolo Sociale Ammalati, autogestito. L’operato dei ricoverati proseguì nella partecipazione, per sette anni consecutivi, al festival della canzone che si svolgeva nel vicino paese, grazie ad un piccolo gruppo musicale fondato all’interno del manicomio.
Nel corso degli anni Sessanta furono abbattute le barriere che dividevano le sezioni maschili e femminili e fu abolito l’obbligo di consegna di tutti gli effetti personali ai nuovi ricoverati. Vi furono iniziative di socioterapia che coinvolgevano attivamente tutte le figure impiegate all’interno dell’ospedale psichiatrico: si inizia a parlare di ospedale-paese.
Nel corso degli anni ‘70, però, l’apertura appena inaugurata fu interrotta con la necessità, da parte dei vertici dell’amministrazione, di attuare nuovi obiettivi come il reintegro dei dimissionari nelle loro realtà originarie e la garanzia di una continuità terapeutica di base.
Nel 1968 fu emanata la Legge 431, “Legge Mariotti”, che apportò significative modifiche: stabilì le dimensioni massime e ne ampliò gli organici, abolì l’obbligo di iscrizione del malato al casellario giudiziario e instaurò la figura giuridica del ricovero volontario. Il principio del re-inserimento nella società non fu facile: i lungodegenti di Fregionaja ebbero grandi difficoltà in quanto Lucca era priva di strutture alternative al manicomio in grado di sostenere i degenti che non avessero un appoggio familiare. A partire dal 1969 fu istituto un Servizio Esterno di Assistenza Domiciliare Psichiatrica con il compito di visitare periodicamente i dimessi. Ma questo servizio non fu ritenuto sostenibile a lungo andare e, tra il 1971 e il 1972, fu promossa l’apertura di ambulatori in ogni zona del comportato provinciale socio-sanitario.
Gli anni ‘70 portano anche la dissoluzione di tutte le attività lavorative all’interno del manicomio, definite come lavoro nero ordinandone la chiusura per motivi sindacali. Molti furono i cambiamenti che mutarono il panorama dell’Ospedale Psichiatrico, mettendo spesso in contrasto lo staff medico e l’amministrazione. Con propria delibera n. 2 del 15 febbraio 1971 la Provincia dispose lo scorporo dell’ospedale e la costituzione di due direzioni parallele: Gherarducci per l’ospedale Est e Verano del Greco per l’ospedale Ovest; successivamente a queste due direzioni furono affidate le diverse zone socio-sanitarie della Provincia: i ricoverati dovevano essere raggruppati, all’interno dei reparti, in base alla medesima zona sanitaria di appartenenza. Nel corso del tempo il numero di ricoverati iniziò a subire una progressiva diminuzione.
Con la legge 180/1978, “Legge Basaglia”, il clima generale si impregnò di aperta polemiche, fintanto che nel corso del 1984 vi fu un periodo di grande crisi durante il quale furono presi di mira diversi aspetti delle condizioni dei malati nell’ospedale psichiatrico, creando controversie e posizioni contrapposte. Dopo la legge Basaglia il manicomio di Maggiano fu distrutto soltanto simbolicamente, in quanto i ricoverati erano ancora presenti in modo massiccio, ma sguarnito di medici e ausiliari.
Nel settembre del 1980 Fregionaja passò dalla competenza della Provincia a quella dell’Unità Sanitaria Locale n. 6 Piana di Lucca: molti infermieri furono spostati in altra sede. Prevale, in questo periodo una totale indifferenza nei confronti dei pazienti per i quali viene segnalata una scarsa assistenza giornaliera. Emergeva, infatti, un totale fallimento della riforma da poco diffusa.
Grandi e diffuse furono le proteste per la creazione di case di cura nei centri abitati, sollevando aperta polemica; a soffrire di questa situazione furono, in primis, i degenti che passarono da un regime di stretta sorveglianza ad un regime di abbandono sotto il profilo assistenziale.
Nel corso del 1986 si iniziò a parlare di un residuo manicomiale in quanto il numero dei degenti crollò drasticamente; infatti, fu individuata una nuova modalità di gestione dei pazienti, divisi in due categorie: samiautosufficienti e non autosufficienti. Nel 1988 fu istituita un’equipe interdisciplinare per la creazione di un programma di riabilitazione dei ricoverati coordinatamente al Servizio Sociale: si costituirono comunità familiari come momento di transizione verso la dimissione definitiva e il reintegro in società.
Con la fine del ‘900 il manicomio perse la sua connotazione di luogo di internamento per diventare una struttura in grado di riabilitare l’individuo al ritorno in società. Il Manicomio di Lucca non si esentava dalla funzione di luogo di ricovero e cura: nella sua ultima fase rimase comunque come luogo di arrivo di ricoverati. Fu inserita la figura dell’assistente sociale tra il personale dell’ospedale psichiatrico che trova a Maggiano ancora diversi ricoverati: le condizioni dei pazienti erano ancora piuttosto critiche e molto discusse.
Nel corso del 1999 Fregionaja ospitava ancora alcuni pazienti: una parte di competenza della nuova Azienda Asl 2 e altri afferiscono ad altre province in attesa di collocazione. Tutti erano divisi in sei comunità che non risultavano però ancora adeguatamente pronte per accogliere i pazienti.
L’Ospedale chiuse all’inizio dell’estate in corrispondenza della definitiva applicazione della Legge 180. Conseguentemente iniziarono le aperture dei servizi territoriali per l’assistenza alla salute mentale.
Nota dell'archivista:
Il fondo Ospedale Psichiatrico Provinciale di Lucca è un archivio aggregato all’Archivio storico dell’Amministrazione provinciale di Lucca
Lingua della documentazione:
- ita
Condizione di accesso:
accessibile previa autorizzazione
Stato di conservazione:
buono
Compilatori
- Inserimento dati: Veronica Pugliese (Archivista )
- Inserimento dati: Christian Ristori (Architetto )
Link risorsa: https://archivista.provincia.lucca.it/fonds/1182